Per una psicosi straordinata -“Immaginare” un transfert-

Laddove “immaginare” sta per “rendere immaginario”.

Il titolo del prossimo Congresso dell’AMP*, e nello specifico quell’apparentemente secondario “sotto transfert”, è solo l’ultimo dei numerosissimi inviti a scandagliare ancora quella che forse è la più annosa vexata quaestio nell’ambito del trattamento psicoanalitico delle psicosi, ovvero se sia possibile o meno che si installi un meccanismo transferale tout court che abbia come soggetto chi mantenga in sé il proprio oggetto e che quindi non possa depositarlo, come accade nella nevrosi, nel “posto del morto” occupato dall’analista.

Ergo, diremmo noi, come sia possibile essere anche immaginariamente morti, dacché si dà per scontata l’esigenza, di fronte alla psicosi, di mantenere un presidio immaginario, interpretato a volte abusivamente, al limite dell’assistenza infermieristica, giustificati dall’ultimo Lacan, che ravvisa in Joyce un anello immaginario a cui “non resta che sloggiare”.

L’analista può opportunamente e immaginariamente agire “a vuoto”?

Volendo scongiurare un’ ecatombe autolesiva nei confronti del proprio sembiante nella comunità analitica, che avrebbe delle conseguenze reali senza però esserlo, vorremmo trarre spunto dalla clinica delle psicosi dette ordinarie, avviata da JAM, e da un episodico approfondimento delle accezioni possibili del termine “immagine”, per forzare la questione e saggiare ancora una volta la tenuta del vecchio adagio, ormai abbandonato ma surrettiziamente spesso mantenuto, secondo il quale un transfert operativo, analogo a quello attivabile sulla nevrosi, nella psicosi sia pressoché impossibile. Ovvero che non cessi di non scriversi.

Si potrebbe pensare a come renderne l’impossibile scrittura, o forse che rendere immaginario l’inscrivibile sia una via possibile? Scrivere il non cessare di non scriversi? La frase, in effetti, è lì. Immaginaria.

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Lolonfo

https://www.youtube.com/watch?v=AKgxlCIGqc8

Di norma, qualunque progetto di intervento che veda tra i suoi elementi operativi il parlato dei soggetti in cura presso istituti psichiatrici, contempla una certa dose di coercizione, quasi che ogni sollecitazione creativa sul soggetto non possa che essere accompagnata da un approccio correttivo. Come integrare, invece, un lavoro sulla produzione linguistica con un’ottica psicoanalitica, nella fattispecie lacaniana, che ergo preveda il minor ricorso possibile alla direzione del paziente e all’interpretazione giudicante del suo parlato?

Negli ultimi anni del suo insegnamento, Lacan introduce il concetto di Lalingua, ovvero ricollega la produzione verbale all’origine materna-pulsionale, slegando un versante dell’atto linguistico stesso dal luogo del simbolico e dell’altro, o se vogliamo collocando parte di questo simbolico in un’area scevra da qualsivoglia funzione normativa, unificante. Una base corporea del linguaggio. Potremmo dire, da queste premesse, che sussista una lingua interna anche NEL reale, che il reale corporeo “risuona del suo dire” (Sem XXIII), e che non necessariamente, come invece spesso si dice, semplificando, questa Lalangue materna incarni uno strato primordiale, originario, del linguaggio.

Non è certo qui la prima volta in cui si stabiliscono delle connessioni tra la lalangue e il dire psicotico.

Tiziana inizia ogni dialogo parlando a una velocità tale da rendere quasi inintelligibile il suo dire, riempiendo addirittura le pause tra una parola e l’altra moltiplicando, lallando, le sillabe iniziali della parola sususususuccessiva.

In questa sua lalingua, però, compaiono degli elementi per lei pregnanti, che sembrano ordinare il suo perceptum: i colori.

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Doveri & Diritti

Riflessione su doveri e diritti di una persona che segue una dieta

ok, la dieta la devo fare io però:

  1. Si deve essere trattati come Soggetto non come Oggetto
  2. Sono una persona, non un numero
  3. E’ un buon metodo proporre piccoli obbiettivi per arrivare al traguardo finale che segna l”inizio di una nuova vita
  4. Avere un rapporto più umano e confidenziale rende meno traumatico salire sopra la bilancia (questa farà meno paura e non sarà percepita come una violenza). Quello che permette di godere dei risultati è il rapporto confidenziale e umano piuttosto che la sola ricerca del risultato stesso
  5. Avere maggiore consapevolezza dei propri limiti permette di definire e distinguere la fame nervosa rispetto ad altre variabili che possono essere incorse nell’assunzione del cibo (a questo scopo, il diario alimentare può essere un buon strumento)
  6. Il medico dovrebbe sempre ascoltare la persona anziché comportarsi in modo saccente evitando di considerarla
  7. Avere dei supporti non canonici (come per esempio pet therapy, personal trainer etc.) aiuta a superare la solitudine dei problemi e la “non comunicazione” del paziente. E’ utile avere un sostegno completo, ampio e trasversale (non solo psicologo, nutrizionista e amica/o)
  8. I medici e le altre figure di riferimento dovrebbero essere sensibilizzati a parlare coi pazienti, è utile che venga suggerito al medico di prendere in considerazione il lato umano di chi ha di fronte. E’ importante considerare l’obesità come una patologia a cui affiancarsi con sensibilità e delicatezza

MG

Diane Arbus

Oggi parliamo di Diane Arbus, fotografa statunitense di origine polacca che ha fatto la storia ed è diventata, a mio avviso, una delle più grandi icone delle fotografia. Questo enorme successo si deve, oltre che per la sua maestria e tecnica fotografica, ai soggetti ritratti nelle sue immagini: dagli anni settanta Diane si dedica in maniera esclusiva e sistematica ai freaks, ovvero a quelle persone considerate negativamente dalla società come inusuali a causa del loro modo di agire. Il tema principale del suo lavoro (in cui essa si riconosce) è quindi la Diversità e la Deformità, quest’ultima presa nella sua accezione etimologicamente neutra e libera da qualsiasi intento di giudizio.

Vorrei soffermarmi su alcune riflessioni personali relative alla fotografia e, in particolar modo, al lavoro lasciatoci dalla Arbus.

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Diversità & Unicità

“Abituarsi alla diversità dei normali è più difficile che abituarsi alla diversità dei diversi” . (Giuseppe Pontiggia).

Tema profondo si è svolto oggi al laboratorio di scrittura, tema che coinvolge tutti noi in prima persona, non invecchia mai anzi è vivo nel quotidiano di ciascuno.

Innanzitutto definire il concetto di “diversità” o di “normalità” in assoluto è un paradosso, possiamo avvicinarci ad una concezione similare che sarà poi soggettiva; potremo quindi parlare di “normalità soggettiva”. La Normalità di per sé è anonima, incolore, insapore. Esiste poiché c’è la Diversità. Sono strettamente legate, dove inizia una finisce l’altra. In altre parole l’essere diversi è un’accezione che diamo noi stessi a noi stessi. Ognuno è portatore di determinate caratteristiche, siano esse somatiche o del temperamento ; si crea una discrepanza quando questo diventa un problema, nel momento in cui temiamo la “diversità” dell’altro, la allontaniamo, la scherniamo. Invece la nostra “Unicità” è fonte di ricchezza, prendere coscienza dei propri limiti è la vera consapevolezza. Una ragazza al laboratorio ha scritto “…Ho imparato ad ascoltare la voce, a pelle, dei miei bisogni…”. E’ una risorsa immane quella del “diverso”, di riuscire a comprendere la propria natura e di accogliere quella dell’Altro. Così, la condivisione di ogni unicità diventa la molteplicità, e l’incolore assume tutti i colori dell’arcobaleno.

Come diceva Hermann Hesse: “Ogni uomo non è soltanto lui stesso è anche il punto unico, particolarissimo, in ogni caso importante, curioso, dove i fenomeni del mondo si incrociano una volta sola, senza ripetizione”.

T.S.

DaVicinoNessunoèNormale

Come primo post scritto da noi, abbiamo deciso di parlare della frase che denomina il nostro progetto e il relativo blog: “da vicino nessuno è normale”.

Da dove nasce questa frase diventata ormai uno slogan per qualunque cosa?

Partiamo col dire che l’idea, spesso condivisa da molti, che la frase sia stata detta dallo psichiatra e neurologo italiano Franco Basaglia è errata. “Da vicino nessuno è normale” deriva da una canzone del cantautore e chitarrista brasiliano Caetano Veloso il quale, nella sua “Vaca Profana”, scrive “De perto, niguém é normal”. La canzone di Veloso, ricca di citazioni, di giochi di parole e fonemi, parla di una donna sacra che dispensa, in base a chi si trova di fronte, il suo latte buono o cattivo. Nei primi anni 90 la canzone di Veloso viene portata a Trieste e fatta ascoltare nel laboratorio di arti visive e serigrafia, nel parco dell’ex OPP di San Giovanni. La frase venne presa e usata da Pino Rosati (il direttore artistico del laboratorio) per sintetizzare il rifiuto dello stigma infamante e omologante sulla follia e sui pazienti.

Stampata inizialmente su una maglietta, la frase inizia a fare il giro dell’Italia e del mondo fino a divenire il celebre motto di una visione del disagio psichico centrata sull’irripetibilità del soggetto e sulla valorizzazione della sua singolarità, tra i precetti fondamentali alla base del progetto omonimo avviato dal Centro Heta.

Di seguito trovate il link di youtube dove poter sentire la canzone:

qui invece il link dove trovare la traduzione della canzone:

http://it.lyricsfeast.com/traduzione-vaca-profana-testo-caetano-veloso-tradotto-in-italiano.html

Mica Van Gogh (Caparezza)

micaVanGogh

prima di dare del pazzo a Van Gogh sappi che lui è  terrazzo tu ground floor

prima di dire che era fuori di senno, fammi un disegno con fogli di carta e crayon

Van Gogh, mica quel tizio là, ma uno che alla tua età libri di Emile Zola

Shakespeare nelle corde

Dickens nelle corde

tu, leggi manuali di DVD Recorder

lui, trecento lettere, letteratura fine

tu centosessanta caratteri, due faccine, fine

lui, London, Paris, Anvers

tu, megastore, iper, multiplex

lui, distante ma sa tutto del fratello Teo

tu, convivi e non sai nulla del fratello tuo

lui a piedi per i campi, lo stimola

tu, rinchiuso con i crampi sul tapis roulant

beh, da una prima stima mio caro ragazzo

dovresti convenire che

tu sei pazzo Continua a leggere