Per una psicosi straordinata -“Immaginare” un transfert-

Laddove “immaginare” sta per “rendere immaginario”.

Il titolo del prossimo Congresso dell’AMP*, e nello specifico quell’apparentemente secondario “sotto transfert”, è solo l’ultimo dei numerosissimi inviti a scandagliare ancora quella che forse è la più annosa vexata quaestio nell’ambito del trattamento psicoanalitico delle psicosi, ovvero se sia possibile o meno che si installi un meccanismo transferale tout court che abbia come soggetto chi mantenga in sé il proprio oggetto e che quindi non possa depositarlo, come accade nella nevrosi, nel “posto del morto” occupato dall’analista.

Ergo, diremmo noi, come sia possibile essere anche immaginariamente morti, dacché si dà per scontata l’esigenza, di fronte alla psicosi, di mantenere un presidio immaginario, interpretato a volte abusivamente, al limite dell’assistenza infermieristica, giustificati dall’ultimo Lacan, che ravvisa in Joyce un anello immaginario a cui “non resta che sloggiare”.

L’analista può opportunamente e immaginariamente agire “a vuoto”?

Volendo scongiurare un’ ecatombe autolesiva nei confronti del proprio sembiante nella comunità analitica, che avrebbe delle conseguenze reali senza però esserlo, vorremmo trarre spunto dalla clinica delle psicosi dette ordinarie, avviata da JAM, e da un episodico approfondimento delle accezioni possibili del termine “immagine”, per forzare la questione e saggiare ancora una volta la tenuta del vecchio adagio, ormai abbandonato ma surrettiziamente spesso mantenuto, secondo il quale un transfert operativo, analogo a quello attivabile sulla nevrosi, nella psicosi sia pressoché impossibile. Ovvero che non cessi di non scriversi.

Si potrebbe pensare a come renderne l’impossibile scrittura, o forse che rendere immaginario l’inscrivibile sia una via possibile? Scrivere il non cessare di non scriversi? La frase, in effetti, è lì. Immaginaria.

La nuova clinica delle Psicosi Ordinarie, anche nei suoi aspetti più discussi (sia pure, a volte, criticamente) mostra una straordinaria fertilità soprattutto, a nostro parere, perché contribuisce, come scrive JAM, a stimolare un affinamento del concetto di nevrosi e una generalizzazione di quello di psicosi, indicando, diremmo noi, una strada che sancisca la non sostanzialità degli operatori strutturali. È, cioè, a un tempo innovativa e tradizionalista rispetto al primo Lacan lettore freudiano, quello della “Questione Preliminare”. Non entreremo, in questa sede, negli affari riguardanti altri aspetti critici eventualmente sollevati dalla “clinica borromea”. Ci manterremo sulle evidenze.

È infatti apodittico e pacifico che una psicosi ordinaria abbia reperito, appunto, un “ordine”, come la definizione stessa suggerisce.

Scricchiolante, posticcio, arbitrario, ma vale a dire che un ordine è possibile, come forse può esserlo anche un “sostituto” protesico del dispositivo transferale del nevrotico.

Un ordine psicotico, o se vogliamo uno psicotico “ordinato”, attraverso un possibile annodamento tra simbolico e realtà, realtà “immaginaria” e non realtà “reale”.

Ora, una delle questioni risultanti da qui potrebbe essere: come facilitare dispositivamente la creazione, da parte di un soggetto psicotico “scatenato”, di un proprio ordine, di una localizzazione funzionale del godimento, di una via schreberiana a ritroso, senza scivolare in una deriva correttivo-educativa sotto mentite spoglie, se si riconosce l’inderogabilità di una certa qual indulgenza a una consistenza immaginaria?

Ancora: come preservare la radice etica dei dettami psicoanalitici e il dispositivo che ne è l’ipostasi per antonomasia, quel “posto del morto”, senza dirigere il soggetto?

Per far questo coglieremo un suggerimento dall’informatica.

Un’immagine informatica è un banale insieme di dati, di in-formazioni, di in-forme. Suscettibili di verifica? Vedremo. Traducibili, sicuramente, anche, appunto, in un’immagine visiva. Inconsistente in alcuni suoi punti, là dove la funzione che determina le direttrici della traduzione, ad esempio, in colori, sia contraddittoria.

Se si nega, come a nostro parere si dovrebbe, che la psicosi sia l’altro nome di un deficit, dovremo ammettere altresì che un ordine linguistico, fatto di opposti, processi differenziali, Bejahung derivanti da negazioni d’altro, foss’anche inabitabile e rigido, c’è. Che non fa presa su un perceptum, preso dal versante immaginario, a cui appunto “non resta che sloggiare”. La “perdita della realtà”, si sarebbe detto un secolo fa. Quindi l’Altro da porre al posto del morto è questo? Un Altro Immaginario? È quindi questo simbolico inabitabile, incapace di prendere le forme di un operatore NdP che dobbiamo riversare transferalmente nel “morto” creato, così, nell’immaginario e viceversa?

Secondo una visione parziale, ma utile allo scopo in questa sede, il simbolico instilla e poi installa innanzitutto nell’immaginario e nel reale delle discriminazioni, un “processo differenziale”, direbbero i linguisti. Ciò che generalmente si applica ancora, a dispetto delle disconferme sorte nelle nuove logiche formali, la cosiddetta “fuzzy” in primis, è il principio del tertium non datur, già cardine della logica classica. Non può piovere e non piovere a un tempo, per citare un esempio logoro. O meglio, non si può “dire”, ma sappiamo che non è così, chiunque può reperire nella propria memoria occasioni nelle quali sia particolarmente difficile esprimersi con nettezza sul perceptum.

Ergo, è banale come anche l’immaginario (sia pure meteorologico, per proseguire la boutade) fornisca ampi margini di indeterminatezza su cui il “colpo di cesoia” del linguaggio marca discriminazioni significanti. Ed è qui che ravvisiamo un terreno su cui operare un’assenza “presente”: in una presenza immaginaria sfumata e paradossale (o addirittura contraddittoria e indecifrabile, come la metafora informatica suggerisce), su cui la “metafora delirante” sia dinamicamente chiamata a pronunciarsi per stabilire, appunto, un ordine, il nodo di cui sopra del simbolico normativo sull’immaginario, così come dell’indeterminatezza immaginaria sul differenziale netto del linguaggio. Stavolta, però, un ordine creato dal soggetto, sotto transfert, che riversa un delirio sull’analista che sarà chiamato, in questo caso, a differirlo proprio immaginariamente, come il silenzio differisce la domanda nell’analisi del nevrotico, attraverso la giustapposizione con il proprio “essere” un delirio, dacché è parimenti banale come egli, come chiunque sia implicato, con buona pace del suo tratto unario, nell’argomento che ci fa “tutti folli”.

Non si tratta di “parlare la lingua del paziente” o di farsene il segretario, ma di esserne un particolare genere di metafora, un correlato oggettivo, per dirla con i poeti.

Crediamo sia questa impossibilità di nominazione della realtà, presa dalla posizione di apertura psicotica (faccia fede la differenza hegeliana, viva in generale nella lingua tedesca tra i termini Realität e Wirklichkeit) a “scatenare” la rigidità che si attribuisce alle soluzioni della psicosi ordinaria e che costituisce uno dei tratti dirimenti nella differenziazione di quest’ultima da una nevrosi pure fenomenicamente simile. E che su questa consistenza immaginaria del posto del morto analitico sia la possibilità applicativa di un transfert sulle psicosi, differendo e mantenendo a un tempo, continuamente, la propria presenza.

Clara parla senza soluzione di continuità da quasi un’ ora, rivolta verso la finestra.

Ma non basta che io stia in silenzio, devo battere un testo al computer, o fare altro.

Perché non basta stare in silenzio, bisogna farlo, il silenzio o, se si può, esserlo.

FP

*XI Congresso dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi, Le psicosi ordinarie e le altre. Sotto transfert, Barcellona, Aprile 2018, http://congressoamp2018.com/it/

 

Bibliografia

J. A. Miller, “Effetto di ritorno sulla psicosi ordinaria”, La Psicoanalisi n. 45, 2009

J. Lacan, “Una questione preliminare a ogni trattamento possibile della psicosi” in Scritti,

Vol. II, Ed. Einaudi

J. Lacan, “La direzione della cura”, in Scritti, Vol. II, Ed. Einaudi

J. Lacan, Sem. XXIII, “Il Sinthomo”, Ed. Astrolabio, a cura Antonio Di Ciaccia

J. Lacan, “Lacan pour Vincennes”, Ornicar 17/18

S. Freud, “La perdita di realtà nella nevrosi e nella psicosi”, Opere Vol. X, Ed. Bollati Boringhieri

S. Freud, “Nevrosi e Psicosi”, Opere Vol. IX, Ed. Bollati Boringhieri

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